"Io penso spesso alle nozze di Cana. Il primo vino è bellissimo: è l’innamoramento. Ma non dura fino alla fine: deve venire un secondo vino, cioè deve fermentare e crescere, maturare. Un amore definitivo che diventi realmente «secondo vino» è più bello, migliore del primo vino. E questo dobbiamo cercare. E qui è importante anche che l’io non sia isolato, l’io e il tu, ma che sia coinvolta anche la comunità della parrocchia, la Chiesa, gli amici. La comunione di vita con altri, con famiglie che si appoggiano l’una all’altra, è molto importante e solo così, in questo coinvolgimento della comunità, degli amici, della Chiesa, della fede, di Dio stesso, cresce un vino che va per sempre." (Benedetto XVI alla festa delle testimonianze - VII Incontro Mondiale delle Famiglie. Milano, 1-3 giugno 2012)

domenica 27 gennaio 2013

La fede in Dio per vivere la fedeltà coniugale


"Nel contesto dell’Anno della fede, vorrei soffermarmi, in modo particolare, su alcuni aspetti del rapporto tra fede e matrimonio, osservando come l’attuale crisi di fede, che interessa varie parti del mondo, porti con sé una crisi della società coniugale, con tutto il carico di sofferenza e di disagio che questo comporta anche per i figli. 
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La cultura contemporanea, contrassegnata da un accentuato soggettivismo e relativismo etico e religioso, pone la persona e la famiglia di fronte a pressanti sfide. In primo luogo, di fronte alla questione circa la capacità stessa dell’essere umano di legarsi, e se un legame che duri per tutta la vita sia veramente possibile e corrisponda alla natura dell’uomo, o, piuttosto, non sia, invece, in contrasto con la sua libertà e con la sua autorealizzazione. Fa parte di una mentalità diffusa, infatti, pensare che la persona diventi se stessa rimanendo "autonoma" ed entrando in contatto con l’altro solo mediante relazioni che si possono interrompere in ogni momento. A nessuno sfugge come sulla scelta dell’essere umano di legarsi con un vincolo che duri tutta la vita influisca la prospettiva di base di ciascuno, a seconda cioè che sia ancorata a un piano meramente umano, oppure si schiuda alla luce della fede nel Signore. Solo aprendosi alla verità di Dio, infatti, è possibile comprendere, e realizzare nella concretezza della vita anche coniugale e familiare, la verità dell’uomo quale suo figlio, rigenerato dal Battesimo. 
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Il rifiuto della proposta divina, in effetti, conduce ad uno squilibrio profondo in tutte le relazioni umane, inclusa quella matrimoniale, e facilita un’errata comprensione della libertà e dell’auto realizzazione, che, unita alla fuga davanti alla paziente sopportazione della sofferenza, condanna l’uomo a chiudersi nel suo egoismo ed egocentrismo. Al contrario, l’accoglienza della fede rende l’uomo capace del dono di sé, nel quale soltanto, «aprendosi all'altro, agli altri, ai figli, alla famiglia... lasciandosi plasmare nella sofferenza, egli scopre l’ampiezza dell’essere persona umana».
La fede in Dio, sostenuta dalla grazia divina, è dunque un elemento molto importante per vivere la mutua dedizione e la fedeltà coniugale. Non s’intende con ciò affermare che la fedeltà, come le altre proprietà, non siano possibili nel matrimonio naturale, contratto tra non battezzati. Certamente, però, la chiusura a Dio o il rifiuto della dimensione sacra dell’unione coniugale e del suo valore nell'ordine della grazia rende ardua l’incarnazione concreta del modello altissimo di matrimonio concepito dalla Chiesa secondo il disegno di Dio, potendo giungere a minare la validità stessa del patto qualora si traduca in un rifiuto di principio dello stesso obbligo coniugale di fedeltà ovvero degli altri elementi o proprietà essenziali del matrimonio.
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La fede è importante nella realizzazione dell’autentico bene coniugale, che consiste semplicemente nel volere sempre e comunque il bene dell’altro, in funzione di un vero e indissolubile consortium vitae. In verità, nel proposito degli sposi cristiani di vivere una vera communio coniugalis vi è un dinamismo proprio della fede, per cui la confessio, la risposta personale sincera all’annuncio salvifico, coinvolge il credente nel moto d’amore di Dio. "Confessio" e "caritas" sono «i due modi in cui Dio ci coinvolge, ci fa agire con Lui, in Lui e per l’umanità, per la sua creatura ... La "confessio" non è una cosa astratta, è "caritas", è amore. Solo così è realmente il riflesso della verità divina, che come verità è inseparabilmente anche amore». Soltanto attraverso la fiamma della carità, la presenza del Vangelo non è più solo parola, ma realtà vissuta. In altri termini, se è vero che «la fede senza la carità non porta frutto e la carità senza la fede sarebbe un sentimento in balia costante del dubbio», si deve concludere che «fede e carità si esigono a vicenda, così che l’una permette all’altra di attuare il suo cammino».
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Se ciò vale nell’ampio contesto della vita comunitaria, deve valere ancora di più nell’unione matrimoniale. È in essa, di fatto, che la fede fa crescere e fruttificare l’amore degli sposi, dando spazio alla presenza di Dio Trinità e rendendo la stessa vita coniugale, così vissuta, «lieta novella» davanti al mondo."

Benedetto XVI, 
INAUGURAZIONE ANNO GIUDIZIARIO - TRIBUNALE DELLA ROTA ROMANA
Roma, 26 gennaio 2013

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